lunedì 21 marzo 2011

La Città

New York


Chelsea, Londra


Anche questo ultimo articolo, come il precedente, risale a circa due anni fa, quando ero ancora al liceo, ma non credo sia sbagliato riciclare qualche cosa per questo blog, quantomeno è tutta farina del mio sacco!
New York

Piccadilly, Londra
Piccadilly, Londra
  È quasi sempre un sentimento di profonda insofferenza, non una reale necessità, ad accompagnare la decisione, per tanti, come me, alle porte dell’università, di proseguire i propri studi altrove. Alcuni, la maggior parte, per la verità, si giustificano attribuendo la colpa a questo paese, al suo governo ladro e ignorante,  in cui non esiste meritocrazia e sarebbe dunque impossibile sperare in una carriera di successo, se non si è provvisti dei giusti “agganci”, ma altri, schiettamente, vogliono solo respirare un’aria nuova,  fuggire di gente in gente, scrollarsi di dosso il peso del quotidiano. La città, che pure ad estranei potrà sembrare vivace e mutevole, non si addice alle loro esigenze e assume come le sembianze di una solida prigione. La città ha una tonalità ben precisa, nel suo insieme, come una fotografia sfuocata, un colore neutro, e una fragranza, quella degli alberi ai margini delle strade e nei giardini, che si fa più penetrante nei giorni di fine estate, quando si gira la chiave nella serratura della porta di casa, al ritorno dalle vacanze. Tutto, della città, è familiare ed è stucchevole. È un monumento fatiscente e polveroso che si è stanchi di visitare. La verità è che noi ragazzi pretendiamo troppo. Pretendiamo che sia la città stessa ad ammaliarci, travolgendoci nel divertimento e nell’euforia. Vorremmo non dover prendere alcuna iniziativa, non essere responsabili del nostro personale intrattenimento. Siamo così facilmente portati a pensare che altrove, ovunque, la novità, la sorpresa, potrebbero certamente cambiare radicalmente anche la nostra vita. Ci dimentichiamo che sono gli uomini ad aver costruito le città, ma le città non sono a misura d’uomo. A volte sono spente, opprimenti ed inespressive. Ma di questo non hanno colpa i muri e i tetti e i marmi delle chiese e l’asfalto delle strade. Siamo noi, ingenui, a proiettare nell’ambiente in cui viviamo, le nostre ansie, la noia, i fallimenti. Siamo pronti a fantasticare su metropoli dinamiche e all’avanguardia, che promuovono la cultura e al contempo l’innovazione. Naturalmente questi luoghi, al pari delle famose città di Calvino, non esistono  se non nella nostra mente, nei nostri sogni di realizzazione personale al di fuori di un contesto già sperimentato e, in qualche modo, deludente. E in fondo tutte le città si somigliano l’una l’altra, sono, comunque sia, grandi comunità in cui le persone possono essere solitarie assieme. È sbagliato aspettarsi che siano loro a formarci, a concederci l’esperienza, ad alleviare le nostre sofferenze e a cancellare i nostri dubbi. Ma forse è un bene, questa illusione puerile. Ci spingerà a migrare, a ricominciare tutto da capo, più e più volte e, credendo di esserci estraniati da noi stessi, ci arricchiremo invece di altre determinazioni. Dopo un lungo peregrinare, una volta tornati alla quotidiana noia della nostra città, ci accorgeremo con stupore che quella staticità che tanto abbiamo disprezzato è in qualche modo consolatoria e rasserenante. Capiremo, al tempo opportuno, che “animum debes mutare, non caelum”.

La Defense, Parigi

Nessun commento:

Posta un commento