domenica 3 aprile 2011

Semplicità



“E Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte”
Mark Rotchko
 La distinzione, intesa come separazione, come definizione è spesso sottovalutata e incompresa, al punto che spesso non realizziamo quanto possa essere risolutiva la presenza nel mondo del opposto delle cose. Se l’uomo non conoscesse il male, il dolore, la solitudine non potrebbe godere appieno della speranza, del piacere, della felicità. Dunque la ricerca del contrario assurge a metodo efficace per la scopertà della vera identità delle cose. Perché quindi non offrire, anche in questo caso, una prospettiva diversa? Perché non trattare, per capire cosa sia il lusso, della semplicità?
“Semplicità è naturalezza, spontaneità, sobrietà”. Così il vocabolario definisce questa parola. Una spiegazione solo apparentemente sbrigativa, inconcludente, che con un po’ di ironia potremmo definire, appunto, “semplice”, ma che a un’attenta riflessione si può rivelare esauriente.
La semplicità è l’essenza di ogni elemento. È nella natura che ci circonda. La fenomenologia delle sostanze chimiche,  ridotta ai minimi termini, risulta elementare e meravigliosamente compiuta. Il sangue e la carne di cui siamo fatti non sono altro che un insieme di cellule dalla struttura non eccessivamente complessa. I terremoti, gli uragani e le eruzioni vulcaniche, benchè possano provocare immani disastri ambientali, sono innescati da reazioni puramente meccaniche.

Marcel Douchamp

TATE modern, Londra

 In ambito letterario la semplicità è genialità, estro, la sostanza di un capolavoro. Abbellisce senza coprire e stupisce senza offendere. È bastevole a rendere lo scritto evocativo e denso di significato, senza peccare di minimalismo. “Odi Et Amo”, scrisse Catullo, esprimendo in pochi versi la contraddizione del sentimento amoroso.
La semplicità è una forma di perfezione che ogni essere umano persegue, seppur inconsciamente, per tutta la vita. Rappresenta forse una promessa di serenità, di beatitudine, di agiatezza, di un’esistenza priva di preoccupazioni e angosce, paradisiaca. Diviene così una conquista che si otterrà, dopo una saggia considerazione del proprio vissuto,  solo liberandosi del superfluo, delle cose terrene. È la prospettiva dell’asceta, del filantropo, del pensatore e del virtuoso. Era il credo di molti grandi poeti dell’antichità: da Orazio, sostenitore dell’idea di aurea mediocritas, a Virgilio, che celebrò la bellezza della vita campestre. Era, e dovrebbe essere ancora, la dottrina della religione cattolica.
La semplicità assume così un’ identità impalpabile, irraggiungibile, quasi divina. Essa rappresenta, intendendo il sostantivo in un’accezione non venale, né futile, l’unico vero lusso cui possiamo e dobbiamo tendere. 

Si sarebbe portati a dire che così come la perfezione, essa non appartiene a questo mondo. Invece il lusso, al quale, almeno nella sua accezione più venale e futile, ben pochi possono sognare di accedere, ne fa di certo parte. Ma è sperabile che la sua ricerca esasperata non abbia a condizionare le nostre esistenze.
Musee Pompidou, Parigi
“La semplicità è una complessità risolta” ( Brancusi )

domenica 27 marzo 2011

Pier Paolo Pasolini






La decisione di accostarmi ad un tema certo inconsueto e controverso come questo trae origine da una sincera e profonda ammirazione per quello che è internazionalmente considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali del XX secolo: Pier Paolo Pasolini ultimo vero genio umanista,dotato di un'eccezionale versalità culturale ,ma soprattutto coerente,imparziale,lungimirante. Sfortunatamente è raro che a scuola si trovi il tempo per approfondire  l'opera di un personaggio così problematico,dissacrante,un attanto osservatore della società, spesso contestato per la durezza dei suoi giudizi e la dramatica crudezza delle sue vicende personali. Ritengo invece che la sua testimonianza potrebbe rivestire un ruolo fondamentale nel percorso di formazione di uno studente, perchè i giovani sono stati la vera passione, intellettuale e fisica, nell'esistenza del grande poeta, romanziere, gionalista e regista. Passione che visse privatamente, in modo esasperato ed incredibilmente vitale, e che lo condusse ad una morte prematura e sconcertante. Riflessioni e immagini sui giovani – anche se Pasolini odiava questa generalizzazione, che gli sembrava “un residuo romantico, dolciastro, e adulatorio”- trovano ampio spazio nella sua poetica, a partire dai romanzi, dai film e dai saggi. Ma il suo rapporto con i giovani non è stato nè facile nè univoco nè uguale nel tempo; essi restano tuttavia l'oggetto prediletto, il caso esemplare per interpretare il mutamento sociale e, alla fine, scagliandosi contro tutto ciò che egli riteneva inautentico, ha lasciato dietro di sè importanti interrogativi e insegnamenti.
La sua ricerca ha inizio nel 1955, con l'uscita del romanzo “Ragazzi di Vita”, una storia tragica che ha per protagonisti degli adoloescenti appartenti ad un basso ceto sociale nella Roma del dopoguerra, quando la miseria era più tiranna che mai. La vicenda ruota attorno alla figura del Riccetto che, dopo anni passati con gli amici del quartiere a scovare e rivendere il metallo trovato nell' immondizia e altri problemi di natura simile, finisce in carcere dove inizia il suo processo di “depurazione” per mano della socità ; quattro anni più tardi esce  “Una Vita Violenta”, che vede nuovamente coinvolti dei piccoli borgatari, che cercano una ragione di vita tra furti, prostituzioni e comportamenti violenti ed animaleschi, che Pasolini aveva modo di ossevare dalle finestre di casa sua a Monteverde. Questi ragazzi del mondo proletario romano sono privi di punti di riferimento, primo fra tutti quello della famiglia, sono brutali, forse, ma a modo loro onesti e fieri della propria condizione. Non conoscono ancora l'invidia per la borghesia (che emergerà solo successivamente), ma esacrano la noia. Nei loro confronti l'autore compie una vera e propria “dichiarazione d'amore” (come ebbe a dire Gianfranco Contini, grande critico stilistico e letterario).
In questo momento storico Pasolini ancora avverte la necessità di compiere una distinzione fra giovani “lavoratori”, “borghesi” e “sottoproletari”. Questi ultimi sono la voce e la rappresentazione di una realtà, seppure violenta, incontaminata, minacciata dall'avvento della società consumistica. Questa “invasione” è messa in evidenza nel percorso di responsabilizzazione di uno dei personaggi del primo romanzo, il Riccetto, che, nel primo capitolo, è capace di gettarsi dalla barca in mezzo al fiume per salvare una rondine che stava affogando e che, invece, al termine di un cammino di redenzione dettato dai canoni della società, pur commuovendosi, non esita a lasciare che il piccolo Genesio anneghi nell'Aniene, considerando la situazione troppo rischiosa per intervenire. Se il Riccetto delinquente era in grado di provare un reale slancio di compassione e di pietà, il Riccetto consapevole diviene una figura piatta, egoista, meschina. Troviamo qui numerosi punti di contatto con uno dei romanzi cardine del XIX secolo, “I Miserabili” di Victor Hugo, che introdusse nel Romanticismo l'elemento del grottesco, come chiave per dar voce alla vita vera. Come in Pasolini, la distinzione fra classi sociali non corrisponde a quella fra Bene e Male, che poi è assai labile; al contrario il personaggio di Jean Valjean, ergastolano di umili origini, in seguito all'opera di redenzione da parte di Monsignor Bienvenu, è capace di atti di estrema carità e




generosità, mentre il poliziotto Javert incarna “tutta la cattiveria della bontà”, poichè, seppur integerrimo, è incapace di provare pietà e comprensione. E tuttavia, per entrambi gli autori, gli umili sono descritti a tinte forti per il timore che la loro anomalia non risulti abbastanza, non
convinca. Entrambi mirano con esasperazione a sottolineare questa condizione subumana,      proiettando su di essa una luce sentimentale, poetica.
Questa differenziazione si dimezza nel '68, quando esplode la contestazione giovanile in Italia. I giovani capelloni, secondo Pasolini, sono “brutti” ed “indistinguibili”, arriva a definirli dei mostri dall'aspetto fisico terrorizzante o fastidiosamente infelice, “maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà”. Ma è soprattutto nel “ PCI ai giovani !” * , una poesia scritta in seguito allo scontro con le forze dell'ordine presso la Facoltà di Architettura a Roma e pubblicata su “L'Espresso”, che lo scittore esprime la sua massima riprovazione, affermando che gli studenti sono dei figli di papà, che la loro rivoluzione è fasulla. Si pone invece a favore dei poliziotti,  essi veramente figli di poveri, anche se resi “sicari” dal mondo del potere. Si tratta di una posizione assai scomoda, controcorrente, che suscita un grande scandalo, ma che ha come unico fine quello di provocare i contestatori, affinchè nasca in loro una coscienza critica.
Proprio negli anni Settanta dunque, è quando avviene la rottura definitiva, quella “cessazione d'amore”, che provoca in Pasolini disillusione e sofferenza. Persino i giovani delle classi povere, ormai, sono diversi rispetto a come erano una quindicina di anni prima. “Sono diventati tristi, nevrotici, incerti, pieni di un' ansia piccolo borghese; si vergognano di essere operai, cercano di imitare i figli di papà”.
L'omologazione culturale è dilagante ed inarrestabile. La suprema considerazione sui giovani disumanizzati arriva nel 1975 con “I Giovani Infelici”. Essi non hanno nessuna luce negli occhi e i loro tratti sono spaventosi, la stereotipia li rende infidi: un loro silenzio può precedere una disperata richiesta di aiuto come una coltellata. Borghesi e Proletari, maschi e femmine sono tutti sullo stesso piano. La loro infelicità è la punizione che devono scontare.
Perchè ? Perchè sono portatori di una colpa gravissima, quela dei loro genitori, “che si sono resi responsabili, prima, del fascismo, poi, di un regime clerico fascista, fintemente democratico, e , infine, hanno accettato la nuova forma di potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”.
Come nella tragedia greca, le colpe dei padri ricadono sui figli e non importa se essi siano buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono pagare. Tuttavia, nel mondo arcaico, trovano una forma di assoluzione: per Oreste, colpevole dell'omicidio della madre Clitennestra per vendicare il padre Agamennone, la fine della pena è sancita dall'Areopago e dalla clemenza della dea Atena. I giovani di Pasolini, invece, non sono perdonati, poichè l'aver ereditato il peccato dei padri li giustifica solo in parte, per il resto sono essi stessi responsabili di ciò che c'è di “brutto, repellente, disumano” in loro, non ci sono figli innocenti. Di qui la sua “condanna”, quel qualcosa di “immenso e di oscuro” che c'è da rimproverare loro.
Ma una speranza di salvezza, “il sogno di una cosa”, per i figli c'è; questo è l'insegnamento di cui dovremmo fare tesoro.
La sola possibilità di riscatto sta nell' acquisizione critica della vera cultura, che è libera dagli schemi e dagli stereotipi, nell'abbattare i moralismi e le convenzioni ma soprattutto nell' esprimersi, anche confusamente, come scopre Davidson, il giovane protagonista de “Il Padre Selvaggio”, perchè esprimersi significa guarire.

*  (Riporto in parte il testo del “PCI ai Giovani!”)

È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati...
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.

lunedì 21 marzo 2011

La Città

New York


Chelsea, Londra


Anche questo ultimo articolo, come il precedente, risale a circa due anni fa, quando ero ancora al liceo, ma non credo sia sbagliato riciclare qualche cosa per questo blog, quantomeno è tutta farina del mio sacco!
New York

Piccadilly, Londra
Piccadilly, Londra
  È quasi sempre un sentimento di profonda insofferenza, non una reale necessità, ad accompagnare la decisione, per tanti, come me, alle porte dell’università, di proseguire i propri studi altrove. Alcuni, la maggior parte, per la verità, si giustificano attribuendo la colpa a questo paese, al suo governo ladro e ignorante,  in cui non esiste meritocrazia e sarebbe dunque impossibile sperare in una carriera di successo, se non si è provvisti dei giusti “agganci”, ma altri, schiettamente, vogliono solo respirare un’aria nuova,  fuggire di gente in gente, scrollarsi di dosso il peso del quotidiano. La città, che pure ad estranei potrà sembrare vivace e mutevole, non si addice alle loro esigenze e assume come le sembianze di una solida prigione. La città ha una tonalità ben precisa, nel suo insieme, come una fotografia sfuocata, un colore neutro, e una fragranza, quella degli alberi ai margini delle strade e nei giardini, che si fa più penetrante nei giorni di fine estate, quando si gira la chiave nella serratura della porta di casa, al ritorno dalle vacanze. Tutto, della città, è familiare ed è stucchevole. È un monumento fatiscente e polveroso che si è stanchi di visitare. La verità è che noi ragazzi pretendiamo troppo. Pretendiamo che sia la città stessa ad ammaliarci, travolgendoci nel divertimento e nell’euforia. Vorremmo non dover prendere alcuna iniziativa, non essere responsabili del nostro personale intrattenimento. Siamo così facilmente portati a pensare che altrove, ovunque, la novità, la sorpresa, potrebbero certamente cambiare radicalmente anche la nostra vita. Ci dimentichiamo che sono gli uomini ad aver costruito le città, ma le città non sono a misura d’uomo. A volte sono spente, opprimenti ed inespressive. Ma di questo non hanno colpa i muri e i tetti e i marmi delle chiese e l’asfalto delle strade. Siamo noi, ingenui, a proiettare nell’ambiente in cui viviamo, le nostre ansie, la noia, i fallimenti. Siamo pronti a fantasticare su metropoli dinamiche e all’avanguardia, che promuovono la cultura e al contempo l’innovazione. Naturalmente questi luoghi, al pari delle famose città di Calvino, non esistono  se non nella nostra mente, nei nostri sogni di realizzazione personale al di fuori di un contesto già sperimentato e, in qualche modo, deludente. E in fondo tutte le città si somigliano l’una l’altra, sono, comunque sia, grandi comunità in cui le persone possono essere solitarie assieme. È sbagliato aspettarsi che siano loro a formarci, a concederci l’esperienza, ad alleviare le nostre sofferenze e a cancellare i nostri dubbi. Ma forse è un bene, questa illusione puerile. Ci spingerà a migrare, a ricominciare tutto da capo, più e più volte e, credendo di esserci estraniati da noi stessi, ci arricchiremo invece di altre determinazioni. Dopo un lungo peregrinare, una volta tornati alla quotidiana noia della nostra città, ci accorgeremo con stupore che quella staticità che tanto abbiamo disprezzato è in qualche modo consolatoria e rasserenante. Capiremo, al tempo opportuno, che “animum debes mutare, non caelum”.

La Defense, Parigi

domenica 20 marzo 2011

Crisi e Rinascita


la vecchia Dehli, India

Stazione di Milano

Questo tema è forse ancor più attuale, considerato il momento che viviamo, che è quello della ricostruzione, del riassestamento, dopo la tempesta. L'articolo è stato redatto in base alla mia visione di studente di liceo, quale ero quando l'ho scritto.

New York
L’eco della tempestiva crisi finanziaria è giunto anche nella scuola. Certo, non in modo prorompente e manifesto, anzi, per il momento, potrei quasi dire che nulla è cambiato ai nostri occhi. Ma è come se un vento di tristezza e disillusione spazzasse i corridoi, le aule, i cortili. I nostri insegnanti ne parlano, ansiosi, timorosi per il futuro, ci prospettano un avvenire tetro. Troncano le nostre speranze, i nostri progetti a lungo termine, annunciano tempi difficili, privazioni. Aleggia tutt’intorno una tensione percepibile nelle loro cupe previsioni, nel loro cinismo. Perché se ad ogni crisi, secondo la pur valida concezione machiavelliana della Storia, corrisponde una rinascita, questa dovrebbe appartenere a noi, alle nuove generazioni. Allora posso in parte comprendere questo diffuso scoraggiamento. In parte, poiché da un lato ripongo una discreta fiducia nelle nostre potenzialità, nel desiderio di cambiamento e innovazione, dall’altro ritengo che siamo quasi completamente estranei a qualsiasi tipo di emergenza pecuniaria a livello globale. Non ne abbiamo esperienza, né testimonianza diretta. Oserei quasi affermare che la questione non ci hai mai interessati e difatti, la prima reazione dello studente medio di fronte ad un evento di tale portata è l’incredulità. Certo, probabilmente, quando il crollo, con devastante effetto domino che non potrà essere arginato, andrà a gravare sul nostro stile di vita, ne avremo piena coscienza. Ma per il momento, non sembra una preoccupazione così spiacevole, poiché ancora, dal nostro punto di vista, attento per lo più a guerre, scontri, politica nazionale, scandali ecclesiastici e dispute di bioetica (cose sicuramente più emozionanti e tangibili), del tutto inconsistente, addirittura invisibile. Non ci siamo mai occupati del denaro, che, d’altronde, c’è sempre stato, da che abbiamo memoria. Eravamo del tutto ignari che il pantagruelico e complesso sistema che governava l’economia mondiale era in realtà assai vulnerabile e che prima o poi sarebbe franato su se stesso, per di più in un momento in cui la fiducia nelle istituzioni sarebbe stata scarsa o inesistente. E invece sarà proprio il nostro compito principale, quello di attuare la Rinascita, necessariamente anche culturale, dando per scontato che, senza idee, non si attuerebbe un bel niente. Ma ne saremo davvero capaci, noi che mai abbiamo avuto a che fare con disastri di tale portata, noi che siamo imprenditori, egoisti, al servizio solamente di noi stessi e quasi mai attenti a problematiche così raffinate, interesse di tutti e non del singolo ?
Saremo in grado di rinunciare a qualcosa per un fine ultimo, un disegno più grande ?
Spero che possiamo imparare da chi ci ha preceduti. Senza farci dare istruzioni, solo per seguire un esempio, che magari ci aiuti persino a fare “di necessità virtù”, per inaugurare un’epoca nuova, venata di ottimismo.

sabato 19 marzo 2011

Sesso alla Patria

Questo mi pare un argomento di grande attualità, visti i recenti scandali e le proteste furibonde. Credo che, però, oltre ad una giusta indignazione, sia stata fatta anche tanta, troppa retorica.
quadretto al Miller's Residence , Londra

 
Pubblicità, vista dal Duomo di Milano

Suppongo che le parole “sesso” e “potere” siano, da sempre, inevitabilmente coniugate in una liaison dangereuse.  La supremazia, il comando, hanno di per sé sentore di libidine. D’altro canto l’uso spregiudicato della sessualità consente di trarre vantaggi e di raggiungere traguardi inimmaginabili. Il potere è sensuale, il sesso è dominante. Tuttavia spesso non possono coesistere se non a scapito l’uno dell’altro: i potenti, che si procacciano erotismo a buon mercato (ossia, senza sforzo alcuno, che sia esso di natura intellettuale o economica) ne sono resi deboli. Sovente vengono soggiogati dalle loro stesse “vittime”, astute, ambiziose e per nulla sottomesse. Imperatori, papi ed eroi sono stati rovinati e in alcuni casi hanno perfino trovato la morte. D’altro canto, non vi è necessità di sottolineare quanto la prostituzione del proprio corpo e della propria libertà sia lesiva per il rispetto che ciascuno di noi deve concedersi.

Taluni sostengono che la Storia si ripeta continuamente, che non ci si debba meravigliare troppo degli scandali odierni, perché fin dai tempi più antichi, la politica si è fatta anche sotto le lenzuola. Ebbene, non è lo stesso, oggi.

visitatrice al MoMa, New York
A partire dalle favole mitologiche, passando per le torbide relazioni intrise di sangue della Roma imperiale, fino ad arrivare agli intrighi delle cortigiane francesi del Settecento,  il sacrificio dell’amante arcaico appare quasi impercettibile se comparato al profitto che ne traeva. Il sesso, la bellezza, non erano che mezzi per poter sedere di fianco ai re, ai grandi  (e magari prenderne il posto) per ottenere privilegi incommensurabili, influenzare gli affari di Stato e guadagnarsi, in modo non del tutto disonesto, una collocazione importante nella Storia.

Almeno per i miei giovani occhi, quello a cui assistiamo nel ventunesimo secolo, non ha niente a che vedere con tutto ciò: madame de Pompadour e la bella Otero sono morte senza lasciare eredi.

Il sesso non è  più un mezzo, bensì una merce di scambio al pari di qualsiasi altra. E “potente” è chiunque abbia qualcosa da offrire. Studentesse in difficoltà accettano di avere rapporti sessuali con i loro professori, in cambio di un voto ( non necessariamente un voto alto) e una firma sul libretto universitario, soubrette scoraggiate dalle vere o presunte ingiustizie del mondo mediatico si concedono, con il comprensivo permesso materno,  a produttori, autori televisivi, conduttori o sedicenti tali pur di ottenere una porticina. Magari una o due inquadrature che ne mostrino le curve.

E non importa arrivare così in alto, se i re sono inaccessibili, vi è una lunga lista di valvassori e valvassini in grado di promettere favori, anche piccoli, ma per cui vale la pena vendersi. Questa svalutazione del proprio corpo è il simbolo di una resa incondizionata di fronte alla pornocrazia. Le donne (o gli uomini ) che si prestano a questa bieca mercificazione non sono in cerca di potere, non vogliono essere ricordati, semplicemente desiderano un qualcosa (il qualcosa è la variabile di questa equazione) e sono pronti a tutto per ottenerlo. Si tratta, in genere, di persone senza identità, più che altro si parla per categorie: le studentesse, le commesse aspiranti attrici o chi per loro. Quel che mi chiedo è se, col passare degli anni, queste persone si renderanno conto che il gioco non vale la candela. In una società, come quella in cui viviamo, sempre più competitiva, si è pronti a tutto pur di sorpassare la concorrenza. Eppure dovrebbe esserci un limite, un limite imposto dalla coscienza, dall’educazione e dalla cultura. Non si può imputare la colpa alla televisione, che può essere guardata in modo intelligente, senza esserne influenzati. Solitamente le ragazze (ahimè, sono in gran parte donne) che tentano disperatamente di spianarsi la strada armate di seni prosperosi e fondoschiena marmorei provengono da famiglie, in cui questi modelli vengono promossi,  o, semplicemente, accettati. Dal momento in cui la disinvoltura sessuale in ambito lavorativo, o scolastico viene tollerata da genitori compiacenti, i quali (in teoria) dovrebbero porre dei limiti ai propri figli, questi ultimi, chi potrà mai fermarli ?


come sotto, tutte le foto © Me

Assignement 1

Va bene,
mi ero appena seduta alla scrivania pensando di scrivere di ciò che mi pare e piace e invece a quanto pare dovrei spiegare con parole mie cosa siano i Feed RSS e come si possano trovare su internet. Il che costituisce per me un vero e proprio compito dato che fino a cinque minuti fa non avevo la benchè minima idea del fatto che esistessero.
O almeno, conoscendo l'Inglese, la sola parola "feed", che significa "rifornire", "ritrasmettere", mi faceva presagire qualcosa che avesse a che fare con l'aggiornamento, le notizie. Dando una rapida occhiata al post del professore credo di non essere totalmente fuori strada. Wikipedia mi indica che RSS sta per
"Really Simple Syndication", ovvero uno dei più popolari formati per la distribuzione dei contenuti Web.
Il formato è soprattuto usato proprio per i feed, allo scopo di essere continuamente aggiornati su articoli o commenti delle nostre aree di interesse senza dover visitare i siti manualmente, uno per volta. Dunque, una comodità!
Basta visitare il sito in questione (generalmente parliamo di siti di informazione, come quelli dei più noti quotidiani, o di blog), più precisamente la sezione che ci preme controllare di continuo e cercare il simbolo del feed RSS (arancione con un simbolo che ricorda una parabola della tv). In questo modo si possono selezionare post e notizie provenienti da testate di diverso orientamento politico o religioso, o internazionali, così da poter avere un resoconto ad ampio spettro.

Quindi, direi, evviva i feed, se non fosse che, in qualità di autrice di questo blog, tendenzialmente prediliga le opinioni e le prese di posizione, almeno quando non si parla di cronaca, ma tant'è...




Se volete, cliccando in alto a destra su questa pagina, potete iscrivervi al mio blog! Sempre cliccando sul simbolo arancione!


 

lunedì 14 marzo 2011

Come e perchè

Forse molti di noi avranno sentito questa come un'incombenza particolarmente fastidiosa, o quantomeno d'intralcio allo studio. Intendo questo compito, che ci è stato assegnato, di creare un blog e aggiornarlo periodicamente, sottoponendoci all'annosa indecisione tipica di chi è obbligato a parlare di sé stesso o dei propri interessi. Soprattutto se dedicarci alla scrittura ci risulta ostico e insensato.
A me, al contrario, è sempre piaciuto scrivere : è l'unico, reale canale di comunicazione, che ci consente di esprimere al meglio il nostro pensiero, senza artifici e frasi superflue, senza correre il rischio d'essere fraintesi.
Naturalmente anche io, come i miei compagni di corso, sono piuttosto indaffarata tra lezioni e studio, dunque non so quanto frequenti potranno essere i miei interventi, ma farò il possibile e mi auguro di non annoiare a morte coloro che, per solidarietà o curiosità, passeranno di qui.
Il titolo è ispirato ad una rivista mensile non troppo conosciuta, a cui sono abbonata, che ritengo senza dubbio uno tra i migliori esperimenti editoriali degli ultimi tempi. La redazione de "Il Giudizio Universale", come il nome ironicamente suggerisce,  si propone di recensire, con leggerezza e disincanto al contempo, tutto ciò che richiama la loro attenzione, spaziando dalla politica all'arte, dalla musica alle grandi tematiche sociali.
Ecco, ciò che vorrei provare a fare, in questo minuscolo e probabilmente a breve dimenticato spazio del cyberspazio, è esattamente lo stesso, sforzandomi di essere magnanima ed evitando di cadere su argomenti particolarmente soporiferi o scontati. (Ovviamente, premetto che, qualora il mio esame di domani dovesse avere esito negativo, vi annoierò a morte con qualcosa di estremamente scabroso, come le mie lamentele).
Forse molti di noi avranno sentito questa come un'incombenza, ma io, devo dire, lo trovo divertente.


p.s. tutte le foto che vedrete pubblicate, compresa quella dello sfondo e quella qua sopra, sono fatte dalla sottoscritta, quindi tutto artigianale !

http://www.giudiziouniversale.it/